Il quinto potere

Roberto Escobar




È "The Fifth Estate" il titolo originale di "Il quinto potere" (Usa e Belgio, 2013, 128').

Bill Condon e lo sceneggiatore Josh Singer non raccontano di un nuovo potere, dopo i tre dell'ordinamento democratico e il quarto della stampa, ma di una sorta di classe sociale emergente, nello stesso senso per cui in anni lontanissimi si parlava di un "quarto stato", quello delle masse proletarie che avanzavano sulla scena politica.

Tratto anche da un libro di Daniel Domscheit-Berg, che con Julian Assange nel 2006 diede vita a WikiLeaks, il film ne ripercorre l'avventura. E lo fa senza prendere una posizione netta, non tanto sulla gravità intrinseca dei fatti rivelati e sulla loro illiceità, quanto sull'opportunità di rivelarli.

Nel corso del film capita che la sceneggiatura paragoni le rivelazioni di WikiLeaks a quelle che, nel 1971, portarono alla luce 7 mila pagine di documenti del Dipartimento della Difesa americano relativi alla guerra in Vietnam, e alle menzogne che ne avevano occultato e addirittura giustificato i crimini. Dai "Pentagon Papers", come furono chiamati quei documenti, Hannah Arendt trasse considerazioni pubblicate nel 1972 con il titolo "La menzogna in politica".

Ora come allora, anzi ora come sempre, la questione è se in politica esista un diritto alla menzogna. Qual è, se c'è, il limite oltre il quale il segreto di Stato prevale sul diritto di un cittadino a conoscere ogni decisione e ogni comportamento dei suoi governanti? E chi pensa che quel limite non esista, come appunto Assange, ha egli stesso il diritto di mettere a rischio vite umane che da quel segreto dipendono?

Su quest'ultimo diritto si dividono le scelte dei due fondatori di WikiLeaks. Domscheit-Berg sostiene di non averlo, ma Assange gli ricorda che proprio il segreto consente al potere di continuare a uccidere, mentre le morti che potrebbero venire dalle sue rivelazioni sono solo eventuali. Del resto, per quel che lo riguarda, immagina d'avere egli stesso un diritto alla menzogna, per esempio facendo credere a Domscheit-Berg e ai maggiori organi d'informazione del mondo d'avere con sé centinaia di collaboratori. Gli serve, la menzogna, per essere preso sul serio, e per vincere la sua guerra contro la menzogna.

Come si esce dal cortocircuito logico ed etico? Condon e Singer si guardano dal rispondere. A noi sembra che facciano bene.

Una volta tanto la dia ognuno di noi, quella risposta, senza aspettarsela da un leader, neppure se si chiama Assange.

 

da L'ESpresso

27-10-13